7.10.15

QUIEN SABE?

Quién sabe? Chi lo sa?
Titolone che centra pienamente il bersaglio. La pellicola di Damiani è al contempo esaltante e riflessiva, è come un'avvincente partita di pallone tra due odiate superpotenze, zeppa contropiedi corali e azioni personali in solitaria del campionissimo di turno. Ecco, se ItaliaGermaniaQuattroATre avesse avuto una colonna sonora, sarebbe stata questa:





L'attesa è breve. Il treno corre veloce. Un uomo legato alla ferrovia. El Chuncho attaccherà.
Difendere e attaccare. La rivoluzione messicana. La partita del secolo. Chi vincerà? E chi lo sa?

Il mio amore per questo film è viscerale, è uno di quei film che lo guardi una volta e magari non te ne accorgi. Poi ti ricapita sottomano ed esclami "ma questo è un capolavoro", compri la cassetta, impari ogni battuta a memoria, la cassetta inizia a grattare e benedici l'avvento del DVD.
Quién Sabe? non è un film perfetto e non pretende di esserlo. La regia di Damiani è bella ma non esaltante, qualche pecca la si può trovare nel ruolo interpretato da Lou Castel nel Niño, un americano alle volte fuori contesto e capace di catturare ben poco le attenzioni e le simpatie dello spettatore. 






Il resto non sono fagioli e spaghetti western, ma ostriche e caviale: Kinski giganteggia. Il suo El Santo lo paragono con rispetto ma senza timore al Colonnello Kurtz di brandiana memoria. Il minutaggio di entrambi, tornando metaforicamente al gioco del calcio, è scarso, ma la presenza di entrambi si fa sentire costantemente. La folle genialità di chi si proclama re e guida della conoscenza Vietcong o di chi lancia bombe a mano benedicendo i destinatari del sacro oggetto nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo è simile al gol del grande Maradona contro l'Inghilterra giustificato e venerato dal lui stesso come "mano di Dio".






Altra menzione particolare la merita Gian Maria Volontè autore, a mio avviso, della sua migliore interpretazione in assoluto, migliore persino del più blasonato Ramon di Sergio Leone.
El Chuncho è Qiuén Sabe: punto di congiunzione tra lotta, intesa come ideale, e vita tranquilla, fregandosene di tutto il resto. In lui si canalizza il tema della Rivoluzione Messicana sia nel trionfo, sia nella sconfitta. Inizialmente, quando la macchina da presa di Damiani inquadra El Chuncho e la sua banda, la lotta appare giusta e stranamente simpatica. Poi qualcosa si rompe: il capo sembra non voler più proseguire per incontrare il generale Elias, in una premonizione più umana che da leader di film western. 
Quel generale alla fine lo raggiungerà e se prima i valori (se così potevano definirsi) apparivano condivisibili, non appena lo zoom si allarga e vengono mostrati i burattinai che fanno vincere o perdere il Chuncho di turno, il castello crolla. Volontè distrugge il suo personaggio come se fosse dentro ad un romantico film di formazione al contrario, si dispera per la morte del fratello e accetta i dollari americani incassati sulla testa del generale. Ma saranno proprio quei dollari, donati ad un mendicante alla stazione uniti alla prepotenza del Niño americano che non si cura della fila per il biglietto del treno, che gli faranno impugnare la sua pistola e vincere la sua personalissima guerra.






-Bere non beve, fumare non fuma, le donne non le vede, ma cos'è che ti piace Niño?-
                                                                           - chi lo sa -

7.3.15

I QUATTRO DELL'APOCALISSE - IL MANIFESTO



Il manifesto più famoso de I quattro dell'apocalisse non è disegnato. Ritrae Chaco -Tomas Milian- nella celebre scena della tortura. Un'immagine insolita per un manifesto western, che sembra voler avvisare gli spettatori dell'impronta generale utilizzata dal regista nell'arco della pellicola.






Stessa cosa per la locandina.





Io ho preferito l'edizione a due fogli disegnata. Si tratta sempre di una prima edizione e si può reperire facilmente su internet con prezzi che variano tra i 40 e i 70 euro.





I QUATTRO DELL'APOCALISSE



1975. Il western all'italiana aveva già parlato. Il genere stava via via perdendosi e i vari Corbucci, Leone, Caiano, Lupo e Tessari avevano partorito da tempo i loro capolavori. Ai botteghini italiani iniziavano a registrarsi i primi incassi importanti per film che andranno a delineare nuovi generi: il giallo/noir all'italiana e soprattutto l'horror all'italiana.






Lucio Fulci, oltre a fare parte della ristretta schiera dei più importanti registi ad aver contribuito alla giusta causa degli spaghetti western, ha saputo variare il proprio repertorio come nessun'altro prima di lui. Ha saputo interpretare e reinventare tutti i filoni o generi in cui si è cimentato: il noir, appunto, il thriller e l'horror.
Parlare del Fulci regista, sarebbe un' impresa abbastanza lunga e soprattutto rischierei di perdermi nella descrizione della sua regia folle e imprevedibile, essendo il sottoscritto un suo grandissimo estimatore.
Potrei paragonare questo grande personaggio, con un altro regista dei giorni nostri che casualmente assomiglia nelle fattezze a un attore de I quattro dell'apocalisse: Peter Jackson.
Come Jackson, Fulci adora lo shock che si scatena nello spettatore, dettato dal disgusto, dalla meraviglia, dall'erotismo e dalla genialità di certe scene inaspettate. Lo splatter, i colori sgargianti ma sfuocati e una regia volutamente imprecisa sono sicuramente elementi in comune con il primo, grande, Jackson per intenderci quello di Bad Taste, Gli schizzacervelli e Creature del cielo.





Questo i quattro dell'apocalisse è appunto una summa di quello che è stato detto fino a questo momento. Il film fu il primo del genere vietato ai minori di 18 anni e per tale ragione venne tagliato e rimontato in diverse occasioni.
La storia è abbastanza lineare: tre uomini e una donna si incontrano in cella e intraprendono un lungo viaggio insieme in puro stile road movie. L'incontro con Chaco, prima amico e poi nemico, distruggerà irrimediabilmente questa finta linearità per poi terminare con la reunion tra il "buono" Fabio Testi e il cattivo (incredibile la somiglianza con il famoso pirata interpretato da Johnny Depp) Tomas Milian.





Il film è diviso in due filoni e la regia sembra tagliata a metà da un'ascia rude e dalla lama tutt'altro che affilata. La prima parte è scandita dalla mattanza del regista: figure metafisiche fanno da sfondo ad un quadro dipinto nel 1968 durante il festival musicale di Woodstock e le magnifiche musiche di Franco Bixio e il grande Vince Tempera finiscono il lavoro. Gli occhi dello spettatore sono increduli davanti a scene di torture fini a se stesse ed ogni traccia di umanità viene soppiantata dalla violenza, reale protagonista dell'opera.
Non c'è nessun Ringo che si faccia valere con la propria colt, l'unica scena in cui Chaco mostra allo spettatore e agli altri compagni di viaggio la propria abilità con la pistola, è rappresentata da una caccia efferata e macabra alla preda: prima in veste di cacciatore affamato e, poco dopo, pazzo che spara a qualsiasi cosa in movimento spinto da un puro impulso sadico.
Nella seconda metà del film, Fulci prende nuovamente in giro lo spettatore: abbandonata la compagnia e ormai soli con i propri demoni, gli ultimi rimasti trovano rifugio in un villaggio di minatori. Da questo momento la regia sembra tornare alla "normalità" e anche il Milian ripreso alla fine del film non sembra il folle individuo conosciuto poco prima.
I quattro dell'apocalisse è un film cult. Un film creato per stupire e per fare la storia di un genere. Un film crepuscolare per un genere crepuscolare, dove regia, musiche e interpreti si fondono miracolosamente per creare un lucido elogio alla follia.






23.1.15

GIU' LA TESTA - IL MANIFESTO



Come annunciato, diamo il via alla parte più personale del blog.
Ci tengo enormemente a consegnarvi un pezzo alla volta di questa particolare forma di collezionismo.
Parleremo di (spero) molti manifesti, alcuni vere e proprie opere d'arte uniche nel loro genere, pur consigliandovi prima o poi di recuperarne una per poterla esaminare e apprezzare coi vostri occhi. Magari proprio quella del vostro film preferito. E poi appenderla ad un muro di casa. Perchè è sempre meglio visionare dal vivo un opera d'arte che guardarne i pixel su uno schermo. Dopo potrete dirmi se avevo torto o ragione.






Il manifesto di Giù la testa è senza ombra di dubbio un pezzo importante per qualsiasi collezione, sia essa una raccolta dei migliori film italiani (e ogni lavoro di Sergio Leone merita tale onorificenza) sia, come nel mio caso, una catalogazione dei western all'italiana più rappresentativi.
La mia attenzione è caduta sul manifesto da 140 cm di altezza per 100 cm di larghezza. Questo manifesto viene comunemente chiamato 2 Fogli, abbreviato 2F, ed ha un valore economico superiore alla normale locandina di dimensioni 70 cm per 33 cm. Tale disparità economica, e di riflesso anche collezionistica, la troveremo per qualsiasi tipo di film senza distinzione di genere o età. Diverso il discorso riguardante le ristampe dei manifesti. Molto spesso ci imbatteremo in seconde o, ancora peggio, terze edizioni. Solamente in questo caso la locandina originale avrà un valore superiore al manifesto, essendo appunto una ristampa.




Sono riuscito a recuperare il manifesto 2F datato 1971 e quindi prima edizione anche se si tratta di una seconda stampa. In via eccezionale dalla stessa persona da cui ho acquistato il manifesto, ho ottenuto anche la locandina originale ad un prezzo di 35.00 € totali.
Entrambi sono in buone condizioni e ad oggi hanno un valore di 70.00/80.00 € per il 2F e di 30.00 € la locandina.
Il mio piccolo sogno rimane il manifesto originale di prima stampa, prodotto in due diversi esemplari. In uno viene ritratto Juan Miranda e nell'altro John "Sean" Mallory, ovvero i due protagonisti e le loro due facce marroni e sporche con la fedelissima colt in pugno. Cercherò di farne mio almeno uno, budget permettendo.




GIU' LA TESTA



Non uno spaghetto western, più uno zapata western, ancora meglio IL western, targato Sergio Leone.




Due considerazioni: Giù la testa non è C'era una volta il west. Giù la testa non è neanche Il buono il brutto il cattivo. Giù la testa da molti non viene considerato come il biglietto da visita di Leone, non la sua opera migliore, sicuramente il meno conosciuto al grande pubblico.
Giù la testa non è un film semplice. Come ho detto non è nemmeno uno spaghetto western, genere inventato e portato al massimo splendore dallo stesso Leone. Giù la testa è il punto che sta alla fine di un bellissimo e avvincente racconto. è l'ultimo capitolo di quella storia iniziata sette anni prima. è un film di formazione, è il Barry Lyndon ripreso tempo dopo da Kubrick. E' un film per molti, ma non penso per tutti.
Se dovessi immaginarmi a redigere un'attenta indagine statistica sui sentimenti dello spettatore dopo una visone di Giù la testa, direi che circa la metà lo ha reputato un film "bello", la metà della metà un film "brutto" e l'altra metà della metà un "capolavoro".




Giù la testa ti inganna, perchè tu pensavi di guardare un western di Sergio Leone, invece ti prende e ti piscia addosso, facendo la fine di quelle mosche all'inizio del film. La puzza la senti, e provi disgusto per quel peones a piedi nudi e con un panino sporco nella camicia strappata. Vedi una carrozza, fuori spoglia ma dentro sembra di essere nell'Inghilterra vittoriana: cuscini, poltrone, buon cibo e loro, quelli che sanno leggere, quelli che insegnano allo stupido la lettura e che gli indicano per chi combattere, che insultano e trangugiano cibo come maiali, quando il maiale, in realtà era appena entrato nella carrozza, lui, un eccezionale Rod Steiger, nei panni del bandito che diventerà eroe della rivoluzione.
Il film è una lunga marcia verso il finale non scritto, verso  il compimento di un atto di guerra senza veri vincitori. E' un film storico e per questo per molti può ritenersi noioso, è un film dove i personaggi non vengono trasfigurati in icone come nei precedenti film di Leone e quindi all'apparenza meno accattivanti anche se molto ma molto più umani e reali. E' un film dove la musica di Ennio Morricone è colonna e architrave della costruzione, straordinariamente fantastica e onirica. Potrebbe sembrare scontato il motivetto "Sean, Sean, Sean", ma potrebbe anche sancire il connubio definitivo tra immagini e musica e farci per un attimo dimenticare che udito e vista sono due sensi separati.






Per coloro che riusciranno a non venire sopraffatti dallo stupore nel vedere un film diverso da quanto immaginato e a perdonare l'inganno del regista, si aprirà un'opera a mio parere meravigliosa, proprio come la famosa "altra metà". Un film sofferto, che Leone non voleva nemmeno girare per concentrarsi sulle americhe, ma che non avrebbe potuto accettare che qualcun'altro rovinasse uno dei suoi primissimi progetti.
Il regista naviga tra i famosissimi primi piani e lascia spazio a lunghe inquadrature documentaristiche. Sceglie di fare percorrere al suo protagonista la via della rivoluzione come fosse un percorso inevitabile. Fa apparire inevitabile il coinvolgimento di Juan (Steiger) nelle dinamiche della guerriglia come apparirà inevitabile l'esito.




Due facce della stessa medaglia: un uomo perdente, che ha perso la sua famiglia e il suo amico, salvatore e guida in quel mondo mai davvero suo, e uno vincente, eroe delle genti e della rivoluzione. Sembra una cinica consolazione che Leone da a un figlio, come se l'avesse accompagnato per un lungo tratto per poi lasciargli la mano, pensando potesse camminare da solo. E sembra sussurrargli di smetterla di piangere e di tirare su quella testa. Già, su la testa. Su la testa, coglione.






16.1.15

DA DA DA... DAN DAN DAN... DA DA DA... DAN DAN...



Ogni tanto in questo spazio si parlerà anche di musica e dopo i titoli di testa del mio primo post partiamo con una bella canzone che ci accompagnerà tra una spaghettata e l'altra.
Ho scelto Sergio Endrigo, ho scelto il suo "Back home someday" conosciuta anche come "A man alone". Colonna sonora per il film "Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro" di Lucio Fulci, sicuramente uno dei primissimi film che affronteremo, ma non il primo.
State in guardia e giù la testa, Coglioni!

Buon ascolto.

A MAN ALONE


     

You left to find a pot of gold.
A thousand miles you rode alone...All alone!
Oh, the long and lonely way
will not lead you anywhere...
You'll come back home some day;
You'll come back home some day.
The wind will steal your 'pot of gold',
And fill your eyes with burning sand, bitter sand!
No star will show the way
and no one will hear your
prayer...
You'll come back home some day;
You'll come back home some day
You went away forever;
You went away alone.
But someone's always waiting
For you... at home... today!
No star will show the way
and no one will hear your
prayer...
You'll come back home some day;
You'll come back home some day
You went away forever;
You went away alone.
But someone's always waiting
For you... at home... today!

SEGNO ZODIACALE: LEONE



Bang.

Musica.

Schermo nero.

Titoli di testa.

Ho recuperato alcune foto che da piccolo mi incastravano travestito da cowboy per carnevale, ma mia madre mi ha assicurato che era l'unico travestimento che avevamo quindi o cowboy o indiano o niente

Da quel giorno sono stato marchiato.




Premessa: non sono un tarantiniano dell'ultima ora, non scriverò niente per mode fugaci generate da Django Unchained, non sono mai salito su un cavallo e non porto cappelli da cowboy.

Questa mia passione arriva da lontano.
Lontano quanto il primo amore provato dal sottoscritto per Sergio Leone, il buono Clint e il maestro Ennio Morricone. Penso seriamente che queste tre figure meriterebbero un riconoscimento nazionale al pari di Michelangelo e Giuseppe Verdi perchè se si parla di arti, si deve parlare di cinema e la storia del cinema passa inesorabilmente attraverso la Trinità (Bud Spencer mi perdonerà) di quei tre: il Padre Leone, il Figlio Eastwood e lo Spirito Santo Morricone.




Vorrei trasmettervi un po' di questa mia passione, vorrei parlarvi di cinema, con recensioni e commenti sui film, di curiosità, di emozioni e parleremo di carta strappata, macchiata e ingiallita. Vi farò assaggiare e spero piacere la tematica del collezionismo cinematografico, in particolar modo il settore cartaceo, quello cioè di manifesti, locandine e fotobuste.

Adoro pensare al cinema come a quell'entità reale anche se un po' rarefatta e vintage, dei nostri nonni o genitori da ragazzi, della metà del '900, un epoca di sviluppo economico e la nascita di tante cose meravigliose, per la prima volta alla portata di tutti.
Immagino le salette di provincia, in quasi tutti i paesini della montagna modenese ce n'era una. Penso alle storie raccontate, a ragazzi che disturbavano le visioni dei film, al cambio della bobina e ai fischi che piovevano inesorabilmente e soprattutto ai manifesti che venivano affissi con tanta cura, perchè solamente poche copie venivano stampate e solamente una distribuita per ogni sala. Queste immagini dovevano essere belle per catturare l'attenzione, erano vere e proprie pubblicità perchè non esistevano trailer su internet o anteprime: le coppie o gli amici uscivano, guardavano il manifesto e decidevano se pagare qualche lira per entrare oppure no.
I produttori che si potevano permettere i grandi nomi come attori protagonisti avevano ovviamente la strada spianata: un bel primo piano con rivoltellone in mano, titolo d'impatto e il gioco era fatto; ben più tortuosa era la strada per quegli Spaghetti a basso costo, con protagonisti tutt'altro che famosi, che dovevano per forza inventarsi immagini più fantasiose per catturare qualche coraggioso ad orari improbabili quali la domenica pomeriggio o il sabato mattina.

Da qui partirà il mio blog: odore di carta vecchia mescolata con quello della pellicola bruciata, di salsiccia, zuppa e tanti, ma tanti fagioli.

Tenterò di recensire almeno due film al mese recuperandone il manifesto originale. La mia costante ricerca di cimeli e immagini riguardanti questo genere è appena all'inizio. Benvenuti quindi in un mondo ancora in divenire che spero, anche attraverso le vostre segnalazioni e i vostri commenti, diventi sempre più ricco. Aspettatevi sorprese, aspettatevi rumori di pistole ogni giorno!


Bang.





to be continued...