23.1.15

GIU' LA TESTA



Non uno spaghetto western, più uno zapata western, ancora meglio IL western, targato Sergio Leone.




Due considerazioni: Giù la testa non è C'era una volta il west. Giù la testa non è neanche Il buono il brutto il cattivo. Giù la testa da molti non viene considerato come il biglietto da visita di Leone, non la sua opera migliore, sicuramente il meno conosciuto al grande pubblico.
Giù la testa non è un film semplice. Come ho detto non è nemmeno uno spaghetto western, genere inventato e portato al massimo splendore dallo stesso Leone. Giù la testa è il punto che sta alla fine di un bellissimo e avvincente racconto. è l'ultimo capitolo di quella storia iniziata sette anni prima. è un film di formazione, è il Barry Lyndon ripreso tempo dopo da Kubrick. E' un film per molti, ma non penso per tutti.
Se dovessi immaginarmi a redigere un'attenta indagine statistica sui sentimenti dello spettatore dopo una visone di Giù la testa, direi che circa la metà lo ha reputato un film "bello", la metà della metà un film "brutto" e l'altra metà della metà un "capolavoro".




Giù la testa ti inganna, perchè tu pensavi di guardare un western di Sergio Leone, invece ti prende e ti piscia addosso, facendo la fine di quelle mosche all'inizio del film. La puzza la senti, e provi disgusto per quel peones a piedi nudi e con un panino sporco nella camicia strappata. Vedi una carrozza, fuori spoglia ma dentro sembra di essere nell'Inghilterra vittoriana: cuscini, poltrone, buon cibo e loro, quelli che sanno leggere, quelli che insegnano allo stupido la lettura e che gli indicano per chi combattere, che insultano e trangugiano cibo come maiali, quando il maiale, in realtà era appena entrato nella carrozza, lui, un eccezionale Rod Steiger, nei panni del bandito che diventerà eroe della rivoluzione.
Il film è una lunga marcia verso il finale non scritto, verso  il compimento di un atto di guerra senza veri vincitori. E' un film storico e per questo per molti può ritenersi noioso, è un film dove i personaggi non vengono trasfigurati in icone come nei precedenti film di Leone e quindi all'apparenza meno accattivanti anche se molto ma molto più umani e reali. E' un film dove la musica di Ennio Morricone è colonna e architrave della costruzione, straordinariamente fantastica e onirica. Potrebbe sembrare scontato il motivetto "Sean, Sean, Sean", ma potrebbe anche sancire il connubio definitivo tra immagini e musica e farci per un attimo dimenticare che udito e vista sono due sensi separati.






Per coloro che riusciranno a non venire sopraffatti dallo stupore nel vedere un film diverso da quanto immaginato e a perdonare l'inganno del regista, si aprirà un'opera a mio parere meravigliosa, proprio come la famosa "altra metà". Un film sofferto, che Leone non voleva nemmeno girare per concentrarsi sulle americhe, ma che non avrebbe potuto accettare che qualcun'altro rovinasse uno dei suoi primissimi progetti.
Il regista naviga tra i famosissimi primi piani e lascia spazio a lunghe inquadrature documentaristiche. Sceglie di fare percorrere al suo protagonista la via della rivoluzione come fosse un percorso inevitabile. Fa apparire inevitabile il coinvolgimento di Juan (Steiger) nelle dinamiche della guerriglia come apparirà inevitabile l'esito.




Due facce della stessa medaglia: un uomo perdente, che ha perso la sua famiglia e il suo amico, salvatore e guida in quel mondo mai davvero suo, e uno vincente, eroe delle genti e della rivoluzione. Sembra una cinica consolazione che Leone da a un figlio, come se l'avesse accompagnato per un lungo tratto per poi lasciargli la mano, pensando potesse camminare da solo. E sembra sussurrargli di smetterla di piangere e di tirare su quella testa. Già, su la testa. Su la testa, coglione.






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